Penso di aver un disturbo post traumatico.
Napoli fa sembrare Roma organizzata e tranquilla. Ma sicuramente non c’è niente di Roma che sia organizzata o tranquilla. Tuttavia Napoli è il livello superiore di non organizzazione e non tranquillità. A Roma ho l’impressione che, a un certo punto, a qualcuno interessi qualcosa. A Napoli ho l’impressione che a nessuno interessi mai niente. Napoli mi sembra incoerente, caotico, contraddittorio, straordinariamente sporca e rumorosa… una confusione di architettura… come se i pezzi di mosaici multipli, si fossero scontrati e fossero atterrati nello stesso luogo… come se un insieme di pezzi di puzzle diversi fossero combinati insieme e ne rimanesse uno solo… come se la città fosse successa per caso e continuasse così…
…e tuttavia… allo stesso tempo, c’è un grande senso del prendersi cura…
Per il cibo, con il caffè, per il calcio, verso Diego Maradona, nell’ospitalità, nella simbologia, nel gridare agli altri che fanno la cosa sbagliata, mentre fanno loro stessi qualcosa sbagliata… e poi graffiti e spazzatura e letteralmente cacca ovunque per strada… accanto brillanti ricordini e prodotti locali deliziosi, articoli di pelletteria artigianale e capolavori antichi… caotico e contraddittorio… con un grande senso della cura.
Non ne vengo fuori.
Tuttavia, so anche che la maggior parte delle persone ama questa gloriosa e caotica città, e in qualche modo, lo capisco bene.
Per fare un piccolo esempio, e veramente questa è la cosa più innocente che si può vedere, quello che il resto del mondo riconoscerebbe come un attraversamento pedonale o un semaforo rosso, a Napoli, è un invito ad accelerare e quasi investire le persone, mentre si grida a loro. Al nord mi ricordo le macchine che si fermavano, mentre eri ancora a metri di distanza dall’attraversamento. Un po’ più a sud, rimani fermo accanto all’attraversamento e, eventualmente, le macchine si fermano. Ancora più a sud, a Roma, si deve camminare direttamente nel traffico, prima che le macchine stridano fermandosi, ma, almeno, non ti gridano contro e non suonano. A Napoli sei, essenzialmente, un obiettivo. Non immagino nemmeno cosa succede in Sicilia. In Nuova Zelanda ci sono esclusioni con le assicurazioni delle macchine, se si guida in certe strade, l’assicurazione non ti copre. Mi chiedo se ci sia qualcosa di simile con le assicurazioni di viaggio se non sei coperto se ti fa male, attraversando una strada a sud di Roma.
Stranamente, i pericoli più grandi per me, sono arrivati dalle tazzine, dagli ombrelli e dalle porte. Mi sono bruciata le labbra al mio primo caffè napoletano… non era il caffè stesso ma la tazzina ad essere bollente come un vulcano. Il caffè caldo era un fresco sollievo, subito dopo. E poi ho quasi perso un occhio quando è arrivata una spruzzata di pioggia. Gli italiani non sopportano di bagnarsi o di raffreddarsi, quindi al primo segnale di pioggia, tutti gli ombrelli vengono fuori - tuf tuf tuf tuf tuf - di conseguenza, se non sei preparato, puoi vedere un occhio, da tutte le direzioni. E con labbra bruciate e un’occhio sono tornata a casa e mi sono quasi rotta la gamba mentre entravo nel portone del mio condominio. Era una di quelle porte gigantesche che ha una porticina all’interno per entrare. Tuttavia, non ho notato che l’entrata ha un ostacolo (scalino?) per salire e quindi sono caduta in un modo tutto’altro che elegante.
Tuttavia, la cosa migliore è stata che tutte le promesse della pizza grandiosa si sono realizzate. Di solito, lascio la crosta ma c’era qualcosa, in quell’impasto, che la dava un sapore delizioso, in se stesso. E la pizza nel complesso era leggera, fresca e deliziosa e, in qualche modo, non paragonabile a nessun’altra pizza assaggiata prima. Ho sentito che forse dipende dal clima napoletano degli ingredienti (l’acqua, l’aria, il suolo, il sole) che la rende così eccezionale. Non lo so ma era sinceramente la più buona che abbia mai mangiato. E posso confessare che ne ho mangiata tanta.
Allora, come lascio questa città dai contraddittori stupendi, sul traghetto per Ischia, è piuttosto giusto che mentre partiamo c’è un chiasso favoloso. In qualche modo le corde del mio traghetto si aggrovigliano (vicenda?) corde di un altro, mentre un terzo traghetto va su e giù vicino sembra che lo faccia solo per guardare lo spettacolo di grida e gesti e una quarta barca che arriva per liberare le corde senza successo. Eventualmente tagliano le corde tra i traghetti e li lasciano galleggiare nell’acqua ma ancora attaccate al mio traghetto. Dopo che altri gridano e gesticolano il traghetto sussulta e giri, le corde scompaiono e cominciamo lenti lenti a lasciare il porto. E poi noto che la maggior parte del soffitto è tenuto insieme da cartone insieme con cartone e nastro adesivo di carta, e il resto mostra segnale grande di marciume. Con questa realizzazione allegra lasciamo il porto, navighiamo in mare aperto e (per cortesia fa che sia vicina) l’isola di Ischia.